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Pioggia

Pastore Tedesco


...


1992

Il nostro vecchio, amatissimo cane Crida era morto a Laveno, un paese sulla riva del lago Maggiore dove ci eravamo trasferiti a vivere, da Milano, per tutta l'estate. Crida era bello e serio: un bravo cane che era rimasto tutta la vita al mio fianco e con il quale avevo condiviso molte gioie, molti dolori e, soprattutto, molte esperienze importanti. Crida era una fetta della mia vita che se ne andava per sempre e per me, mia moglie e mio figlio Matteo la sua morte era stata un immenso dolore. Un dolore ma non una sorpresa perché Crida aveva più di sedici anni un'età che, per un grosso Bearded-Collie come lui, rappresenta una specie di record di longevità anche perché l'aveva raggiunta in ottima salute. Al termine di una vecchiaia serena era morto di uno crisi cardiaca, improvvisamente, discretamente, senza dare segni premonitori come fanno i cani che amano troppo i padroni per dar loro ansie o preoccupazioni.

Aveva avuto un bel funerale, Crida: c'erano, mesti e consapevoli, tutti i cani più giovani che aveva conosciuto nella zona, era stato avvolto in un telo nuovo e prezioso e poi sepolto sotto un grande albero. Alla fine, mia moglie aveva piantato sulla sua tomba un cespuglio di fragole. Il giorno seguente aveva cominciato a piovere a dirotto e questa pioggia scendeva ormai de quindici giorni.

Una mattina, meno piovosa delle precedenti, Matteo era uscito di buon'ora nel grande giardino della villa che abitiamo, che si sporge sul lago e aveva visto qualcosa scappare fra gli alberi, strisciare lungo il muro di cinta e rifugiarsi fra i cespugli più inaccessibili: “Papà, c'è un cane!” aveva gridato, ma io sapevo che questo non era possibile perché la villa è circondata da un muro alto due volte un uomo e il cancello viene aperto solo per entrare e uscire di casa: nessuno può ragionevolmente introdursi nel parco senza che noi lo vogliamo.
Eppure quel cane era li, arrivato chissà come da chissà dove, tremante e impaurito, rintanato fra i rovi, insensibile alla nostra dolcezza e alle nostre offerte di cibo.
Ci mettemmo in tre a stanarlo: Matteo, mia moglie ed io e dopo averlo blandito, rincorso, braccato per tutto il giardino che non ci era mai sembrato così grande riuscimmo a costringerlo in un angolo del muro e ad avvicinarci. Era una femmina, un bellissimo esemplare di Pastore Tedesco femmina che ci scongiurava con lo sguardo languido di non farle del male.
La portammo in casa con grande gentilezza e lei si rifugiò immediatamente in cima alle scale della torretta: il posto più nascosto che riuscì a trovare e noi iniziammo subito a cercare il suo padrone. Niente da fare: voci sparse per tutta Laveno e nei paesi vicini, messaggi nei canili e negli ambulatori veterinari e tutto ciò che si fa normalmente in questi casi non diedero alcun esito.
Col passare dei giorni la situazione non migliorava: Pioggia -l'avevamo chiamata cosi per via del tempaccio di quell'estate pigra- mangiava e beveva solo nottetempo, non si lasciava avvicinare da nessuno e convincerla a scendere in giardino per i suoi bisogni era questione di pazienza e di diplomazia. Del suo padrone, nessuna traccia; di come fosse arrivata da noi, nessuna spiegazione logica.
Di tenere Pioggia con noi non se ne parlava: il dolore per la morte di Crida era ancora troppo vivo per rimpiazzarlo con un nuovo cane e dopo una settimana di difficile convivenza con quella bestia che sembrava rifiutare ogni manifestazione d'affetto l'affidammo -non senza esserci informati a dovere- ad un appassionato di cani che viveva in una villa distante sei chilometri da Laveno. Eravamo sicuri che li, Pioggia, sarebbe stata bene.

Lei, però, non era d'accordo di vivere con un padrone che non aveva scelto e, infatti, poche ore dopo il suo arrivo nella nuova casa fuggi saltando un muro alto più di due metri.
Non appena venimmo a saperlo ci mettemmo a cercarla disperati: ci eravamo accorti che Pioggia ci mancava terribilmente!
Purtroppo, però, la vastità delle colline della zona ricoperte da boschi fittissimi ci lasciava ben poche speranze di ritrovarla. Infatti, non la trovammo: ci trovò lei! In capo a una settimana si presentò davanti al cancello di casa nostra, si fece prendere con grandi difficoltà ma si fece prendere: era con noi che voleva stare, questo era ormai chiaro.

Rientrata in casa con tutti gli onori, Pioggia cominciò ad ambientarsi. Mangiava e beveva anche di giorno, senza più nascondersi; scodinzolava quando le parlavamo, qualche volta si lasciava accarezzare e aveva eletto a sua cuccia un divano del secondo piano, incastrato fra le vetrate di un bovindo dal quale si domina, con un solo sguardo, tutto il lago.
Di notte rubava sempre qualcosa di nostro: una scarpa, una calza, una camicia; portava il bottino sul suo divano e ci si accucciava sopra, poi si metteva a dormire tranquilla.
Mano a mano che passavano le settimane, Pioggia si comportava in modo sempre più affettuoso: manifestava grande felicità vedendo comparire il guinzaglio con il quale la portavamo a passeggio in paese, ci mordicchiava delicatamente le mani per richiamare la nostra attenzione e veniva spesso a dormire in camera nostra, durante la notte; qualche volta saliva addirittura sul nostro letto.
Voleva, però, avere contatti solo con noi e quando entrava in casa un estraneo lei correva a rifugiarsi nella torretta in cima alle scale, aspettando che l'intruso se ne andasse.

Pioggia viveva con noi, a Laveno, ormai da tre mesi quando mia moglie mi annunciò che aspettava un bambino!
Questo meraviglioso avvenimento ci costrinse a tornare a Milano per qualche giorno; eravamo un poì dispiaciuti ma, del resto, l'estate era ormai alla fine e l'autunno cominciava a cambiare l'aspetto della vegetazione che da verde brillante e sfacciato diventava rossa, gialla, marrone.
La cagna, naturalmente, venne con noi in città.

In una metropoli ci sono troppi pericoli per un cane abituato a vivere in campagna : traffico, rumore, folla. La prima volta che la lasciammo libera in un giardino pubblico, Pioggia scappò a gambe levate. Appena le sganciai il guinzaglio dal collare prese la fuga: attraversò a rotta di collo una strada fitta di auto ruggenti e strombazzanti e spari dietro l' isolato. Aveva perso la testa e scappava, in preda al panico, senza sapere dove andare.
Almeno così credetti io.

In famiglia ricominciammo a soffrire per Pioggia; io ero addoloratissimo, mia moglie piangeva spesso. Battemmo palmo a palmo tutti i giardini pubblici della zona, informammo i Vigili Urbani, facemmo ricerche presso i canili e lanciammo messaggi dalle stazioni radio locali: niente! Pioggia era scomparsa.
Eravamo preoccupatissimi: come se la sarebbe cavata, la nostra cagnolina, in una grande città che non conosceva? Cosa avrebbe mangiato? Dove avrebbe dormito?

Dopo quattro giorni di sofferenza la ritrovò mia moglie per puro caso: Pioggia stava trottando spedita su un marciapiede; sembrava che sapesse perfettamente dove andare e quando si senti chiamare volse appena la testa, ebbe solo un attimo di esitazione, come se quel richiamo l'avesse distratta da importanti pensieri. Fece per tirare dritto per la sua strada ma un secondo, angosciato richiamo la convinse a fermarsi e a farsi prendere. La gioia di mia moglie era indescrivibile: lei e Pioggia si baciarono, si rotolarono insieme sul marciapiede e poi, felici, tornarono a casa. Pioggia era sfinita, magrissima, affamata. Credo che fosse stata investita da un'auto perché aveva un profondo taglio in testa ed era tutta dolorante. La rifocillammo e la curammo. Dormì per tre giorni di fila, guarì dalle sue ferite, recuperò le forze e il buonumore e anche noi guarimmo, poco a poco, dalle ferite dolorose che avevamo nell'anima e recuperammo il buonumore insieme a lei.

Appena Pioggia si sentì di nuovo in forma, scappò ancora. Attese con furbizia che la porta d'ingresso si aprisse per qualche motivo e, sgusciando tra i battenti, fuggi in strada, rapidissima e imprendibile, sorda ai nostri richiami.
Non la trovammo mai più.

Qualcuno ci disse, poi, di averla vista lungo un viale cittadino: trotterellava spedita, immersa nei suoi pensieri, con l'aria di chi sa perfettamente dove andare. Infatti Pioggia sapeva dove andare e cosa fare: una cosa importante, un nuovo lavoro. La sua meta era in qualche parte del mondo, dove sarebbe giunta fra qualche tempo e dove qualcuno avrebbe trovato, per caso, una bella femmina di Pastore Tedesco timida e impaurita, arrivata li chissà come, da chissà dove.
Sicuramente un'altra mamma che non sapeva ancora di aspettare un bambino.
Probabilmente in un giorno di pioggia.
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